Ventitreesima Parola | Capitolo Secondo | 38
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Mi preoccupai, visto che non c’era alcuna via d’uscita. La cosa strana era che ai lati del treno si vedevano dei bei fiori e della frutta deliziosa. Cercai di afferrarne alcuni, ma erano pieni di spine. Appena li toccai mi ferirono le mani e mi tagliarono le dita, perchè mi scivolavano dalle mani a causa della velocità del treno. Mi costava molto insomma ottenere quei fiori e procurarmi quella frutta deliziosa. All’improvviso uno dei funzionari del treno disse: “Dammi cinque pezzi da cento, e io ti porterò tutti i fiori e la frutta che vorrai, altrimenti oltre alle tue mani ferite dalle spine, perderai cento pezzi da cento al posto di cinque. In più non puoi evitare la punizione per il fatto di averle colte senza permesso”. Ansioso, sporsi la testa dal finestrino. Volevo sapere quando sarebbe finita quella galleria, ma non se ne vedeva uno sbocco e neanche l’uscita. Si vedevano, invece, nelle pareti della galleria, delle buche in cui venivano buttati i passeggeri del treno. Una delle buche stava addirittura davanti a me e ai suoi lati c’erano due pietre sepolcrali. Sopra di esse c’era scritto il mio nome, Said. “Povero me!” gridai con stupore e tristezza. In quel momento sentii improvvisamente la voce di quell’uomo che mi aveva consigliato quando ero alla porta della locanda. Mi disse:

-“Ti sei ripreso adesso?”

-“Si” risposi. “Ho perso ormai tutte le mie forze. Non c’è più niente da fare.”

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